RIFLESSIONI A MARGINE DELLE LINEE GUIDA IN PUNTO DI MEDIAZIONE DELEGATA DAL GIUDICE SECONDO LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI

Di Francesca Locatelli

App. Napoli, 31 ottobre 2017

L’ordinanza in commento è di particolare interesse in quanto, nel rinviare le parti in mediazione, si occupa di fissare una sorta di vademecum in tema di mediazione delegata dal giudice, cogliendo l’occasione anche per fare il punto sul tema mediante espresso richiamo a molti degli orientamenti maturati negli ultimi anni in materia.

L’ordinanza in parola aspira quindi, chiaramente, a divenire una sorta di linea guida della corte napoletana per i casi in cui deciderà di ricorrere allo strumento in parola. Senza pretesa di completezza, ed al solo fine di effettuarne una prima lettura a caldo, si prova a condividere qui alcune riflessioni.

La Corte d’appello di Napoli affida esplicitamente alla mediazione delegata dal giudice una chiara funzione deflativa del contenzioso in previsione del tempi lunghi per la definizione del giudizio, stante il carico di cause pendenti presso l’ufficio giudiziario medesimo, mostrando così di voler probabilmente investire in modo seriale sulla stessa.

A tal fine, i giudici napoletani effettuano alcune raccomandazioni e puntualizzazioni, con il chiaro ed evidente obiettivo di incentivare le parti a servirsi fattivamente dell’istituto, cogliendo un’occasione, in sostanza, per tentare di raggiungere una soluzione conciliativa secondo metodologie diverse da quelle tipiche dei rimedi avversariali, ricordando nel contempo alcuni benefici ed agevolazioni previste per la mediazione e, tuttavia, richiamando anche i meccanismi sanzionatori che il d.lgs. 28/2010 prevede in considerazione del fatto che il giudice, oltre a valutare il comportamento delle parti nel corso del processo, può considerare anche quello tenuto in mediazione, in rapporto all’esito del giudizio pendente avanti a sé.

Il primo profilo che viene acclarato dall’ordinanza è relativo al fatto che la mediazione delegata dal giudice, dopo la novella apportata nel 2013 dal c.d. “decreto del fare”, non è più semplicemente un procedimento che può essere attivato su invito del giudice, che ravvisa nella controversia sottoposta al suo giudizio caratteristiche tali da poter essere eventualmente risolta anche per quella via, ma è qualcosa che, se il giudice ritiene possa essere tentato “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”, viene ora “disposto” dal giudicante: non si tratta dunque più di un mero invito, ma di un vero e proprio obbligo per le parti, se il giudice reputa di percorrere anche questa strada.

In tal senso, l’ordinanza in commento è molto chiara e netta nel ricordare questo principio, precisando che la mediazione delegata dal giudice diventa così condizione di procedibilità della domanda giudiziale per espressa scelta del giudicante e ciò, si badi bene, anche nei casi in cui la controversia non verta affatto in alcuna delle materie per le quali essa è prevista come obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 28/2010. Anzi, addirittura è possibile che, per questa via, la condizione di procedibilità della domanda sia imposta per scelta del giudice anche in secondo grado, con la peculiarità di pervenire ad una forma di giurisdizione condizionata anche allorché la domanda in origine non prevedesse affatto un simile meccanismo.

A sottolineare il carattere obbligatorio della mediazione imposta dal giudice, l’ordinanza in parola richiama anche una serie di orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia, su cui deve essere brevemente soffermata l’attenzione in quanto essi tratteggiano una specie particolare di mediazione “obbligatoria”, che la qualifica come sui generis rispetto a quella prevista per determinate materie dall’art. 5, co. 1 bis d.lgs. 28/2010: tale puntualizzazione è importante, perché si assiste invece alla tendenza ad una lettura acritica di dette decisioni, volta a cercare di estendere tout court tali arrêtes anche alla mediazione obbligatoria ex art. 5 co. 1 bis, la quale ha invece natura differente.

Precisamente, è riferibile solo alla mediazione delegata dal giudice il rilievo secondo il quale il primo incontro informativo di mediazione – volto a sondare la volontà delle parti di aderire o meno alla stessa – è superfluo e che la condizione di procedibilità è soddisfatta soltanto entrando effettivamente in mediazione con la partecipazione personale delle parti, con l’avvertimento che la nomina di un procuratore speciale [che non dovrebbe coincidere con il difensore, il quale ha soltanto un ruolo di assistenza, nella logica dell’istituto: Trib. Vasto 9 marzo 2015, Trib. Pavia 9 marzo 2015, Tribunale di Ferrara, 28.7.2016] deve rimanere qualcosa di strettamente eccezionale [cfr. T. Milano, 7.5.2015, Trib. Pavia, 1-1-2015. ex multis, Trib. Palermo, Ord. 16.06.14; Trib. Roma, Ord. 30.06.14; Trib. Firenze, Ord. 26.11.14; Trib. Siracusa, Ord. 17.01.15, Trib. Vasto, Sent. 9.03.2015].

La ratio di tale orientamento, che appare condivisibile, si coglie pensando che, nel caso della mediazione delegata dal giudice, la valutazione se le parti debbano o meno entrare in mediazione è stata già effettuata dal giudicante, il quale ha soppesato le caratteristiche del caso concreto per addivenire a tale scelta, di talché non può concettualmente residuare alcuno spazio per una successiva adesione o meno ad opera delle parti a quella che è una vera e propria disposizione del giudice [cfr., in termini, App. Milano, 10.05.2017, secondo la quale sussiste l’improcedibilità della domanda allorquando le parti del procedimento di mediazione, in attuazione dell’ordinanza emessa dal giudice di invito alla mediazione delegata, siano comparse dinanzi all’Organismo di mediazione ed abbiano concordemente dichiarato di non volersi avvalere della suddetta procedura, giacché, in tale ipotesi, la condotta delle parti svuota di ogni contenuto sostanziale e funzionale lo stesso procedimento mediatorio, degradando a mero adempimento burocratico quella che dovrebbe essere un’occasione utile per ricercare una soluzione extragiudiziale dell’insorta controversia].

Cosa, questa, che non accade invece nel caso della mediazione obbligatoria “classica”, ossia per controversie che vertono su determinate materie definite dall’art. 5 d. lgs. 28/2010, considerato che in tale ambito vi è soltanto una mera ponderazione in astratto circa l’opportunità di intraprendere la strada della mediazione, operata dal legislatore esclusivamente in ragione delle qualità generali della tipologia di contenzioso e non della controversia concreta (e cioè che si tratti di materie dove ha senso intervenire in funzione deflativa del contenzioso o in cui è probabile che le parti, a prescindere dalla lite in corso, debbano ancora avere a che fare in futuro: come nel caso delle controversie in tema di successione, condominio, o concernenti rapporti di durata, come le locazioni, ad es.). Per tale motivo, nel caso della mediazione obbligatoria ex lege ed a differenza di quella delegata dal giudice, sembra maggiormente condivisibile l’orientamento secondo il quale la condizione si considera assolta con la partecipazione sì della parte (e meglio se personalmente, ndr), ma solo al primo incontro informativo [conf. T. Treviso 25.5.2017, che ammette come utile a tal fine anche la procura conferita al legale, peraltro: aspetto che a parere di chi scrive rimane critico, poiché è indubbio che la mediazione, per funzionare ed avere qualche chance di successo, richieda di preferenza la presenza personale delle parti].

La corte napoletana coglie, poi, l’occasione, anche per rammentare un importante principio in tema di presunto danno erariale cagionato dalla p.a. che decida di aderire alla mediazione, rassicurando che così non è affatto e che, anzi, la soluzione conciliativa può essere economicamente assai più conveniente del contenzioso. Anche in questo caso, non si fa altro che riprendere un orientamento di merito, il quale nel rinvenire l’origine di tale erronea convinzione in una lettura distorta di una circolare dell’Agenzia delle Entrate (la n. 9 del 10.08.2012), ha invece enunciato che se la legge impone degli obblighi a tutti i soggetti giuridici, senza alcuna eccezione per gli enti pubblici, non è certo il loro assolvimento, ma, al limite, la loro evasione, a poter astrattamente generare, in capo all’autore della scelta, una responsabilità di natura erariale [cfr. T. Roma, 15.12.2015]; e, sempre la stessa giurisprudenza, rammenta che, del resto, anche la mera attività di stipula di una transazione è pacificamente ritenuta compatibile con l’attività della p.a., sicché non si vede perché non possa esserlo anche un accordo raggiunto eventualmente a seguito di mediazione [cfr. Corte Conti, sez. contr. Lombardia, n. 17 gennaio 2008, n. 28 e 17 dicembre 2009, n. 1116; ibidem: sez. contr. Piemonte, n. 28 febbraio 2012, n. 20]-

Per il resto, l’ordinanza, si limita infine a richiamare quelle disposizioni del d. lgs. 28/2010 che più possono raccordare il momento della mediazione ed il comportamento che in essa le parti tengono con quello del giudizio vero e proprio, sia per il caso di raggiunta conciliazione, sia di suo fallimento, dando anche importanti spunti operativi che indicano come procedere nelle due ipotesi.

In particolare, in tale prospettiva, è rammentato il meccanismo della proposta conciliativa, che introduce la fare c.d aggiudicativa, a torto di fatto respinto nella prassi dagli stessi mediatori e dunque scarsamente utilizzato e che, invece, se adoperato cum grano salis, e cioè solo come extrema ratio in caso di fallimento della c.d. mediazione facilitativa, potrebbe effettivamente contribuire a dare slancio all’istituto.

A tal riguardo, però, si evidenzia nell’ordinanza in commento una nota forse un poco eccentrica rispetto alla logica interna all’istituto della mediazione, seppur comprensibile alla luce della diversa prospettiva del giudice nella mediazione dallo stesso delegata: ossia, il riferimento alla necessità di depositare una nota che informi sull’esito del procedimento di mediazione, allegandone il relativo verbale, ed eventualmente esplicitando anche la propria proposta conciliativa.

La previsione solleva qualche perplessità – beninteso, nella prospettiva dell’assetto normativo e concettuale proprio della mediazione – perché il procedimento in parola, per legge, è coperto da riservatezza e, pertanto, anzitutto ben può essere che lo stesso verbale di mediazione rechi pochi dati; in ogni caso, comunque, suscita qualche dubbio l’imposizione del giudice alle parti di rompere il vincolo della riservatezza di quanto è stato detto nel contesto della mediazione per fornirgli alcuni dati.

Per tentare di rinvenire una sorta di bussola per orientarsi, è allora utile ricordare che un orientamento di merito ha chiarito che la riservatezza nella mediazione copre il merito della lite e non gli atti di svolgimento del procedimento (con la conseguenza che, ad es., il rifiuto di proseguire nella mediazione deve essere verbalizzato, affinché il giudice possa trarne le valutazioni del caso ai sensi dell’art. 8, comma 4bis, d.lgs. n. 28 del 2010 e di modo che il giudice possa desumere argomenti di prova: cfr. Trib. Roma 25.1.2016); ma è evidente che la linea di confine tra ciò che concerne il mero svolgimento del procedimento e le ragioni nel merito che possono spingere una parte a rifiutare una proposta o ad abbandonare il tavolo della mediazione è molto labile, tanto che (non a caso) è stato anche chiarito che, ad es., il giustificato motivo di rifiuto nel proseguire la mediazione deve essere esplicitato solo “in presenza di ragioni ostative formali/procedurali” [v. sempre Trib. Roma 25-1-2016].

Se così è, però, non appare allora pienamente condivisibile quell’indirizzo che impone alle parti di comunicare l’esito della mediazione con nota da depositare in Cancelleria prima dell’udienza, nota che dovrà contenere, con dovizia di dettagli, “informazioni in merito all’eventuale mancata partecipazione delle parti personalmente senza giustificato motivo; agli eventuali impedimenti di natura pregiudiziale che abbiano impedito l’effettivo avvio del procedimento di mediazione; nonché infine, con riferimento al regolamento delle spese processuali, ai motivi del rifiuto dell’eventuale proposta di conciliazione formulata dal mediatore” [così ad es. anche T. Siracusa 17.01.2015]: e questo perché, oltre a vanificare la regola di riservatezza imposta dall’art. 9 d. lgs. 28/2010, imponendo di rivelare dati che attingono giocoforza anche al merito della trattativa, rischia di porre sin dal principio una pesante ipoteca sulla riuscita stessa della mediazione, essendo evidente che le parti saranno indotte ad essere reticenti per timore che qualcosa possa trapelare in sede giudiziale.
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